Nelle ultime settimane mi è capitato di vedere su youtube due interventi da parte di due figure di spicco del web marketing italiano e che mi hanno fatto riflettere.
Il successo dell'omologazione
Entrambi, ripeto in contesti diversi, esordivano nei loro interventi con una dichiarazione chiara e inequivocabile che più o meno suonava così: “Senza pubblicità Facebook le aziende se lo sognano di vendere”.
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Non voglio entrare nella mischia su questo argomento nella ben nota prospettiva secondo cui ogni fazione sostiene la propria verità: quindi ci sono i sostenitori del content marketing, oppure quelli del affiliate marketing o del link building o del social qualcosa.
Voglio pormi nella prospettiva di guardare e capire quali effetti hanno frasi del genere sui clienti, quindi sulle aziende, quindi sui manager o sui proprietari di azienda che potrebbero sentire cose del genere. Probabilmente l’istinto da parte loro sarebbe quello di organizzare un meeting interno, dichiarare che la pubblicità su Facebook non deve mancare e quindi di procedere a ricercare una web agency o un consulente che possa svolgere questa attività. Del resto se per vendere bisogna fare pubblicità su Facebook, facciamola!
Effetti che si possono verificare con grande rischio per le aziende:
Si alimenta l’idea che c’è una sola via da seguire, mentre se una cosa ci ha insegnato la storia di internet è che le vie sono come quelle del Signore: infinite.
Sono ben consapevole che queste dichiarazioni sono state dette sicuramente con la consapevolezza che intorno alla pubblicità online ci debba essere “altro”. Ma il fatto di dichiararlo in modo così netto ad inizio di un intervento stona veramente tanto.
La pubblicità è uno strumento, è un’attività da svolgere niente di più. Se proprio dovessi iniziare un intervento pubblico direi che la strategia che sta alla base è imprescindibile per vendere, la pubblicità è un di cui, è un pezzo, peraltro in moltissimi casi assolutamente rinunciabile, per fare lead generation e per fare vendite.
Mi domando: ma siamo sicuri che la chiave per vendere sia spendere migliaia di euro con tassi di conversione del 2% (se va bene) promuovendo prodotti e servizi a una valanga di persone che proprio se ne fregano di quello che gli viene proposto?
Del resto, le vediamo tutti le pagine Facebook con 120.000 followers che a ogni post totalizzano 25 like e 2 commenti! O no?
Qual è il tasso di conversione di questi followers? Quanto ha speso in pubblicità quest’azienda per acquisire tutti questi followers? E quanto si è fatta pagare la web agency per pubblicare ogni giorno foto, post e video senza alcun valore per nessuno?
Non è forse preferibile avere 500 followers che trovano interessante quello che scrivo, mettono like, commentano, condividono e comprano?
Una frase come quella riportata sopra fa passare il messaggio che la pubblicità su Facebook funzioni come la macchina del caffè: inserisci i soldi ed esce il bicchierino con il tuo caldo e profumato caffè. Senza sforzo. In sostanza l’affermazione è semplicistica, forse seducente, ma totalmente avulsa dalla realtà. Fare pubblicità online non è prendere un caffè. Ha senso se è inserita, ancora una volta, in una strategia più ampia. Il problema però è che sviluppare un’approccio strategico richiede fatica sia per la web agency che per l’azienda cliente, e non intendo ore di consulenza o di analisi, intendo proprio la vera fatica, quella che ti obbliga a “guarda dentro all’anima dell’azienda”. La fatica (e il rischio) di fare delle scelte, di scartare un certo segmento di clientela e sceglierne un altro.
Appunto il rischio delle scelte, proprio quello che rende la proposta della web agency poco vendibile! Eggià, perché è più semplice vendere la certezza che: “Senza pubblicità non si va da nessuna parte”.
Infine, se parliamo di Advertising, parliamo di “cose da esperti” e quindi non è pensabile che internamente all’azienda si debbano avere queste competenze. Quindi si esternalizza tutto. Ecco questa è la terza e più importante occasione che la nostra ipotetica azienda, convinta dalla frase iniziale, sta perdendo.
Esternalizza un processo fondamentale che è quello di progettazione strategica della comunicazione digitale e delle promozioni online.
E anche considerando che grazie a queste pubblicità si riesca a crescere e vendere di più, in fondo si perde l’occasione più importante che è di far progredire l’azienda.
Distinzione quella tra crescita (o sviluppo) e progresso che mi sembra discriminante. L’azienda cresce se aumenta il fatturato, le vendite, ecc… Progredisce se oltre crescere riesce ad aumentare il proprio know-how, migliora le competenze dei dipendenti, amplia l’offerta di servizi e in sintesi: migliora la vita e il contesto di relazioni che ruotano attorno ad essa.
Ecco, per questo penso che se un consulente ha grande visibilità dovrebbe evitare di amplificare messaggi incompleti, se non ingannevoli.
Cosa fare prima di scegliere un fornitore esterno per la comunicazione digitale?

Seguire ad esempio il modello 3CP (lo trovi qui, spiegato e pronto da scaricare in PDF)
- Iniziare a chiedersi a chi vuole comunicare in modo selettivo e specifico.
- Scegliere in relazione all’audience i prodotti/servizi che più si adattano possibilmente in una logica di scalabilità.
- Selezionare gli strumenti e le tattiche più corrette per l’audience e i prodotti/servizi prescelti.
- Creare delle routine interne per gestire il follow up atteso dalle azioni messe in campo.
Definiti i punti 1 e 2 è corretto coinvolgere un consulente che sappia guidarti nella scelta più corretta di strumenti e tattiche, ma a monte è responsabilità aziendale l’elaborazione delle linee guida realmente strategiche e legate strettamente con gli obiettivi dell’azienda.
Delegando in toto questi aspetti, al consulente, si rischia di perdere di vista gli obiettivi, di perdere la visione strategica e di esternalizzare verso un Facebook specialist le funzioni aziendali più delicate.
Provare per credere.